"ALBORNOZ, Egidio de. - Nacque nell'ultimo decennio del sec. XIII in Cuenca (Nuova Castiglia), da Garda Alvarez de A. e Teresa de Luna: piccola nobiltà la sua; nè si hanno prove di una discendenza da sangue reale, favoleggiata dai suoi primi biografi; è errato anche attribuirgli il cognome di Carrillo. Fece i suoi studi universitari probabilmente in Tolosa (dove, forse, ebbe come maestro Stefano Aubert, il futuro Innocenzo VI), e certamente si addottorò in diritto canonico. Nel 1338 divenne arcivescovo di Toledo, primate di Spagna e cancelliere del re. Acquistava anche una buona pratica di guerra, partecipando come legato papale in diverse battaglie.
Le sue notevoli attitudini di politico e di diplomatico ebbero a manifestarsi nel corso di una missione ad Avignone e presso il re di Francia (1345). Ma poi la sua eccezionale posizione a corte cessò con l'avvento al trono del re Pietro il Crudele (1350), con il quale l'A. ebbe ben presto a scontrarsi.
Il suo ottimo comportamento sia come arcivescovo di Toledo sia come cardinale, la sua pratica di guerra e di maneggi diplomatici, la sua dottrina di canonista lo fecero scegliere dal papa per la grande azione di "riconquista" (si può ben usare per lui questo termine del mondo spagnolo) dello Stato della Chiesa in Italia, alla quale è legata indissolubilmente la sua fama. È noto che in quel tempo lo Stato della Chiesa si era quasi tutto dissolto e praticamente non ubbidiva più al suo sovrano.
Il 30 giugno 1353 Innocenzo VI lo nominava legato in Italia (escluso il Regno di Sicilia) e vicario generale nei domini della Chiesa: la prima carica lo abilitava a risolvere tutte le questioni ecclesiastiche ed a riscuotere le decime in un ambito vastissimo; il vicariato-gli conferiva la posizione di "alter ego" del papa e ampie facoltà nel campo della giurisdizione.
Sul finire del 1354 era complicata, in specie, la situazione nella Marca. Primeggiava là, fra tanti signori piccoli o minimi, il tiranno di Fermo, Gentile da Mogliano, ma da Rimini i Malatesta, che già si erano impadroniti di Ancona e Ascoli, miravano a sottomettere tutta la regione, e in quel tempo lo stavano assediando in Fermo. Gentile, per non combattere su due fronti, preferì accordarsi con il legato, cedendogli la città; non però il Girone o Girfalco, la formidabile fortezza che la dominava."
da Treccani.it di Eugenio Duprè Theseider
Il testo di cui sopra ci induce ad una riflessione riguardante le fortezze collocate all'interno delle città, situate nello Stato Pontificio nel secolo XIV. Tra queste Ascoli Piceno. Molto spesso nelle città della Marca, in quel secolo, vennero edificate o potenziate fortezze in punti strategici dell'agglomerato urbano.
Questa operazione di ri-militarizzazione della città tardo-medievale non fu legata a motivazioni di difesa dai nemici vicini, come spesso si tende a pensare. Quasi sempre esse rappresentavano strumenti di conservazione del potere da parte dello Stato Pontificio sulla città stessa.
La fortezza Pia e Il forte Malatesta sono stati strumenti adatti per l'Albornoz. Strumenti di controllo della popolazione. Difatti lo stato Pontificio sottrasse ai Malatesta questi due punti strategici a più fasi durante il sec. XIV.
I nemici delle fortezze, quindi, per diverso tempo furono gli ascolani stessi, i quali confermano nei secoli la loro "dura" tempra e la loro attitudine ad essere indipendenti e padroni della loro esistenza.
Questa azione dell'Albornoz nell'Italia centrale diede sviluppo ad un nuovo movimento
architettonico, artistico e tecnico per quello che riguarda la progettazione delle fortificazioni e dei bastioni.
Ricordiamo che il Forte Malatesta fu riprogettato e ristrutturato successivamente a queste nuove concezioni militari da uno dei più grandi nomi dell'architettura dell'epoca, Antonio da Sangallo il Giovane.
Serafino D'Emidio