Secondo la tradizione locale, S. Emidio, Patrono ascolano, fu il primo vescovo cittadino e morì martire (nel 303 o nel 309), decapitato nel luogo dove sorge il tempietto di S. Emidio Rosso.
Una leggenda lo vuole come santo «cefaloforo»: una volta decapitato, raccolse la testa amputata e andò prodigiosamente a seppellirsi presso l'ipogeo ora racchiuso nel tempietto di S. Emidio alle Grotte.
Dall'XI-XII sec. divenne «defensor civitatis» del libero Comune e del suo Comitato territoriale. Nonostante il tardo raccogliersi (tra XI e XV sec.) attraverso successive redazioni delle sue notizie biografiche (la sua agiografia è stata apocrifamente attribuita al suo discepolo Valentino), che hanno verosimilmente aggiunto fatti ed elementi dal significato simbolico-politico, il culto emidiano è sicuramente antichissimo (documentato da chiese a lui dedicate fin dall'VIII sec.), mentre la traslazione delle sue reliquie dalle catacombe di S. Emidio alle Grotte nella cripta della cattedrale avvenne verosimilmente intorno al Mille ad opera del vescovo Bernardo II. La vicenda biografica di S. Emidio va quindi collocata in un contesto di precoce diffusione del Cristianesimo, come è documentato dai reperti archeologici e archivistici, oltre che da una salda tradizione locale. Particolarmente interessante è la stratificazione agiografica emidiana, operata partendo da elementi diversi per epoca, contenuto e significato. Se il culto di S. Emidio ha radici remote, notizie dirette sulla sua festa si hanno a partire dai documenti del libero Comune, quando il santo ne divenne «patrono», cioè garante dei valori più alti del vivere religioso e civile. In una società, come quella medioevale, spiccatamente attenta alla regolamentazione giuridica dei rapporti sociali e delle istituzioni, concepite secondo una organizzazione gerarchica piramidale, il termine «patronus» (cfr. «pater familias» e «pater gentis») evocava la necessità, da parte della comunità cittadina, di avere il patrocinio di un autorevole santo della «città celeste» al quale affidarsi come «clientes», ma anche come «amici» e «familiares». Un evidente filo legava S. Emidio, vescovo celeste e invisibile (ma vicino e presente attraverso le sue reliquie e le sedi del culto) e il vescovo visibile, suo successore sulla cattedra ascolana, attento a dialogare con le autorità civili e con il popolo.
A partire dal medioevo, la festa patronale di S. Emidio costituisce la «Festa conveniens» di tutta la città e del suo Comitato territoriale, avendo una ricorrenza fissa (il 5 agosto, data tradizionale del martirio di S. Emidio). La festa era quindi una celebrazione di tipo calendariale o di consuetudine. Analogamente a quanto avveniva in molti Comuni dell'Italia di antico regime era la massima espressione dell'autonomia cittadina. In poche città la festa patronale è sentita come avviene, da secoli, in Ascoli. Per comprendere questo fatto, che va oltre la stretta devozione religiosa, occorre fare riferimento alla struttura del Comune medioevale. Annunziata dai banditori come l'evento principale dell'anno, dal XIII sec. la festa di S. Emidio si è articolata secondo precisi e complessi riti e cerimoniali (che si tenevano per lo più o si concludevano in Piazza Arringo), con un succedersi di eventi religiosi, civici (si pensi all'offerta dei pali da parte dei Castelli e delle Terre del comitato territoriale e dei ceri da parte delle corporazioni), economici (anzitutto, la grande fiera «franca») e ludici (come le giostre dell'anello e della Quintana, il palio a cavallo e la corsa a piedi).
Oltre ai riti e ai cerimoniali rigorosamente prestabiliti, la festa ha presentato sempre momenti di grande spontaneità, espressione di una società variegata e composita, non chiusa in se stessa («con solempnità de jochi et de balli, alegramente», Statuti, St. Pop., Lib. II Rubr. 6). La devozione per il santo patrono, con il consenso della chiesa locale e delle autorità civili venne infatti a scandire il calendario annuale, analogamente alle grandi feste liturgiche e alle fasi fondamentali del ciclo rurale e confluì nell'intersecarsi di due culture, la mistica cristiana e la cavalleresca. Quest'ultima venne inserita a pieno titolo nella festa, incanalando i giochi e le compagnie di quartiere altomedievali, ridefinendo in chiave comunale il valore storico e sociale della cavalleria medioevale, e dando espressione sublimata nel costume della festa cittadina a fazioni le cui gesta nel resto dell'anno erano spesso violente e tragiche (fonte: sito comune ascoli piceno).
Sir Robert D'Altavilla