Cari amici
Quintanari eccoci di nuovo con il consueto appuntamento del sabato della rubrica “Tradizione
Quintanara”. Oggi andremo ad esaminare la storia e la tradizione del Sestiere di Sant'Emidio. Come
di consueto, vogliamo ricordare
a voi tutti che lo scopo della rubrica è quello di approfondire
ogni sabato un Sestiere diverso, attraverso un percorso storico e
culturale legato alle radici storiche, ai monumenti e alle vittorie
nella Giostre della Quintana.
SANT'EMIDIO: Il Sestiere rosso-verde individua il centro storico che si apre intorno ai due principali spazi cittadini: Piazza Arringo e Piazza del Popolo la cui fuga di portici cinquecenteschi è chiusa dalle linee gotiche di San Francesco, iniziata pochi anni dopo il 1215 quando il Santo di Assisi giunse nella città picena dopo la celebre "Predica agli uccelli". Di fianco a San Francesco il chiostro maggiore, sede di un singolare mercato agricolo, distante pochi passi dalle torri gentilizie di palazzo Merli e dalla facciata di Sant'Agostino o, dall'altra parte, dagli eleganti palazzi Malaspina e Bonaparte. I colori di questo Sestiere, come prima accennato, sono il rosso e il verde e la sede è ubicata in Rua degli Sgariglia. Ricordiamo che di recente sono stati modificati i confini del territorio del Sestiere di Sant'Emidio e del Sestiere di Porta Romana per permettere al Palazzo Sgariglia, sede del Sestiere di rientrare nel territorio rosso-verde. Nel corteo storico il Sestiere di Sant'Emidio vanta la presenza del console Pespani, presente fin dalla prima edizione dell'era moderna della Giostra della Quintana di Ascoli Piceno.
VITTORIE: Quando si parla delle vittorie del Sestiere di Sant'Emidio è obbligatorio e doveroso ricordare le imprese leggendarie dell'indimenticato Gianfranco Ricci, autore di grandissime imprese e di grandissime battaglie con Marcello Formica, che in quegli anni correva per Porta Solestà. La prima vittoria del Sestiere rosso-verde risale all'anno 1957, terza edizione moderna della Giostra Ascolana che vide trionfare Eugenio Santoni. Proprio quest'ultimo sarà il primo cavaliere a scrivere il nome nella storia del Sestiere di Sant'Emidio. Dopo La vittoria di Santoni la storia racconta una serie incredibili di vittorie del faentino Gianfranco Ricci, autore della vittoria all'esordio nella Giostra di Ascoli, poi autore di altre successive vittorie che gli permisero di far registrare il record di quattro vittorie su quattro compresa quella dell'esordio (record poi superato da Emanuele Capriotti di Porta Romana autore di cinque vittorie su cinque all'esordio).
Gianfranco Ricci è molto conosciuto su tutto il panorama nazionale. E' il cavaliere che ha vinto 48 Giostre ed è l’irraggiungibile recordman italiano di tutti i tempi dei cavalieri che partecipano alle Giostre. Un altro record di Ricci è avere iscritto il proprio nome nell’Albo d’Oro addirittura di 8 di queste Giostre. Ha vinto ben 11 volte ad Arezzo, 10 a Faenza, 8 ad Ascoli, 8 a Servigliano, 4 a Foligno, 3 a Narni, 3 a San Gemini, 1 a Monterubbiano. E' stato anche un cavaliere (vittorioso) assai longevo visto che ha raccolto successi a distanza di ben 29 anni: la prima volta nella sua Faenza nel 1962, l’ultima a Servigliano nel 1991. Tra i suoi numeri da record anche le 10 vittorie in 4 anni (media 2,50 all’anno) dal 1982 al 1985 e le 19 vittorie in 9 anni (media 2,11) dal 1970 al 1978. I suoi anni più prolifici, con 4 successi, il 1976 e il 1978 (Arezzo, Ascoli, San Gemini e Servigliano) e il 1985 (Ascoli, Servigliano e 2 volte Foligno). I suoi tris sono invece datati 1971 e 1972 (Ascoli, Faenza e Narni), 1980 (Servigliano e 2 volte Arezzo) e 1984 (Ascoli, Foligno e Servigliano).
Dopo Gianfranco Ricci, il Sestiere di Sant'Emidio è tornato al successo grazie alle vittorie di Franco Melosso (2 Palii vinti nel luglio 1997 e agosto 1998). Tutti questi numeri portano ad un numero toatale di successi pari a 13, Palii tutti custoditi nella sede di Rua degli Sgariglia. Quest'anno saranno i giovani ed esordienti Scoccione e Stefanetti a difendere i colori del Sestiere rosso-verde al Campo dei Giochi.
Gianfranco Ricci è molto conosciuto su tutto il panorama nazionale. E' il cavaliere che ha vinto 48 Giostre ed è l’irraggiungibile recordman italiano di tutti i tempi dei cavalieri che partecipano alle Giostre. Un altro record di Ricci è avere iscritto il proprio nome nell’Albo d’Oro addirittura di 8 di queste Giostre. Ha vinto ben 11 volte ad Arezzo, 10 a Faenza, 8 ad Ascoli, 8 a Servigliano, 4 a Foligno, 3 a Narni, 3 a San Gemini, 1 a Monterubbiano. E' stato anche un cavaliere (vittorioso) assai longevo visto che ha raccolto successi a distanza di ben 29 anni: la prima volta nella sua Faenza nel 1962, l’ultima a Servigliano nel 1991. Tra i suoi numeri da record anche le 10 vittorie in 4 anni (media 2,50 all’anno) dal 1982 al 1985 e le 19 vittorie in 9 anni (media 2,11) dal 1970 al 1978. I suoi anni più prolifici, con 4 successi, il 1976 e il 1978 (Arezzo, Ascoli, San Gemini e Servigliano) e il 1985 (Ascoli, Servigliano e 2 volte Foligno). I suoi tris sono invece datati 1971 e 1972 (Ascoli, Faenza e Narni), 1980 (Servigliano e 2 volte Arezzo) e 1984 (Ascoli, Foligno e Servigliano).
Dopo Gianfranco Ricci, il Sestiere di Sant'Emidio è tornato al successo grazie alle vittorie di Franco Melosso (2 Palii vinti nel luglio 1997 e agosto 1998). Tutti questi numeri portano ad un numero toatale di successi pari a 13, Palii tutti custoditi nella sede di Rua degli Sgariglia. Quest'anno saranno i giovani ed esordienti Scoccione e Stefanetti a difendere i colori del Sestiere rosso-verde al Campo dei Giochi.
MONUMENTI STORICI: I monumenti storici del Sestiere di Sant'Emidio costituiscono il cuore del centro storico Ascolano. Tra essi spicca la Piazza del Popolo, simbolo di Ascoli nel resto d'Italia, in Europa e nel Mondo.
«Piazza del Popolo, la piazza italiana che insieme con quella di San Marco a Venezia dà più di un'impressione di sala, cinta da porticati, chiusa dalla stupenda abside di San Francesco.» (Guido Piovene, viaggio in Italia, 1957)
Piazza del Popolo è una nota piazza in stile rinascimentale della città di Ascoli Piceno. Deve la sua denominazione al Palazzo dei Capitani del Popolo, uno dei principali edifici storici che, con la sua medioevale torre merlata, a fianco dello storico Caffè Meletti, ne contorna l'area. Lo storico Antonio Rodilossi la descrive come «una delle piazze più armoniose d'Italia, isola pedonale e cuore del centro storico.» È spesso definita come il salotto cittadinoed è il luogo per eccellenza dove gli ascolani s'incontrano e passeggiano. Nel tempo, la piazza è stata indivuduata anche con le denominazioni di "platea superior" e "delle scaje". Quest'ultima definizione che le fu attribuita indicava e descriveva la presenza delle numerosissime scaglie, (scaje in dialetto ascolano), di travertino che ne ricoprivano l'area durante la costruizione della chiesa di San Francesco, prodotte dagli scalpellini che lavoravano le pietre.
La piazza assunse la configurazione architettonica attuale nei primi anni del XVI secolo, quando si occupò della sua sistemazione, finanziata con spesa pubblica nel 1507, il governatore Raniero de' Ranieri, detto "pelato di testa e di polso". Questi dispose la costruzione di portici con volte a mattoni rossicci e colonne in travertino su tre lati della piazza per sanare la triste situazione urbana di molte botteghe, depositi e malridotte casette medioevali che la contornavano. Ultimata la costruzione del colonnato, nel 1509, si dette la possibilità ai privati di costruire e sopraelevare i fabbricati seguendo gli spazi della proprietà preesistente. Ogni proprietario dovette attenersi alle regole fissate che prevedavano: l'elevazione di un solo piano, oltre il colonnato, mantenendo l'uniformità dell'altezza dei fabbricati; l'utilizzo degli stessi materiali edili, travertino per le finestre e mattoni rossicci per le volte e le case; di costruire l'identica tipologia di finestra definita: “riquadrata con timpani tondi e decorazioni a palmette”, secondo il gusto dei maestri lombardi. Per questo il disegno può esserne attribuito a Bernardino di Pietro da Carona, operante ad Ascoli in quel periodo. Solo successivamente furono aggiunti i merli alla ghibellina. La piazza, di forma rettangolare si apre all'incrocio del cardine e del decumano dell'impianto stradale cittadino, precisamente tra corso Giuseppe Mazzini e via del Trivio. Il suo spazio è circoscritto dalla possente facciata del Palazzo dei Capitani del Popolo, dal Caffè Meletti, dalle leggere e gentili forme gotiche della chiesa di San Francesco, cui è addossata l'edicola di Lazzaro Morelli. Tutto il resto del perimetro è incorniciato da palazzetti rinascimentali a portici e logge. La piazza è anche completamente pavimentata con lastre di levigato travertino apparendo chiara e luminosa, in caso di pioggia assume un suggestivo effetto a specchio. Nel 1987, la sua immagine è stata riprodotta nella serie dei francobolli policromi e dentellati, emessa dalla Repubblica Italiana, il 10 ottobre dello stesso anno, e dedicata alle "Piazze d'Italia". Nella stessa serie comparivano anche piazza San Carlo di Torino, piazza dei Signori di Verona, piazza Giuseppe Verdi di Palermo. È stata la cornice di spot e campagne pubblicitarie come ad esempio quello della Fiat 500 nel 1998 e quello di Telecom - Impresa Semplice nel 2012. Da qualche anno la sua gigantografia compare nella scenografia del programma televisivo Striscia La Notizia.
Il Palazzo dei Capitani del Popolo è uno dei principali edifici storici di Ascoli Piceno. Il palazzo sorge al centro della città, affacciato sul "salotto buono" di Piazza del Popolo. Si distingue per la sua elegante torre merlata medioevale a fianco dello storico Caffè Meletti. Fu costruito fra il XIII ed il XIV secolo con l’accorpamento di tre piccoli edifici, separati da due ruette. L’assemblaggio risultò dalla realizzazione di un’unica nuova facciata che avanzò di qualche metro verso la pavimentazione della piazza. Come tutti i grandi complessi monumentali Palazzo dei Capitani fu continuamente sottoposto ad interventi e migliorie. Si hanno notizie della costruzione alla fine del 1200, in alcuni documenti è definito come“Palactium Populi” considerato la sede dei deputati dei ceti artigiani. Quando Ascoli divenne un libero Comune la sua rappresentanza popolare divenne maggiore e il palazzo fu individuato col nome di “Palactium Communis et Populi” o “Communis Antianorum”.
Successivamente fu sede dei potenti che ebbero la signoria sulla città, Vicari del Re di Napoli, da Carrara, degli Sforza e del Papa Re. Durante il ventennio mussoliniano fu sede del partito fascista e fu chiamato “Casa del Littorio”. Nel XIV secolo, si configurò nella sua forma attuale, per merito dei papi Giulio II eLeone X che elargirono 1100 ducati. Cola dell’Amatrice realizzò il disegno della facciata, su via del Trivio, caratteristica per i portali in travertino e le finestre aggettanti, sul cornicione di una finestra ha apposto la data 1520. Una nuova ricostruzione tra il 1518 e il 1520. Il palazzo sorge al centro della città, affacciato sul "salotto buono" di Piazza del Popolo. Si distingue per la sua elegante torre merlata medioevale a fianco dello storico Caffè Meletti. Fu costruito fra il XIII ed il XIV secolo con l’accorpamento di tre piccoli edifici, separati da due ruette. L’assemblaggio risultò dalla realizzazione di un’unica nuova facciata che avanzò di qualche metro verso la pavimentazione della piazza. Come tutti i grandi complessi monumentali Palazzo dei Capitani fu continuamente sottoposto ad interventi e migliorie. Si hanno notizie della costruzione alla fine del 1200, in alcuni documenti è definito come“Palactium Populi” considerato la sede dei deputati dei ceti artigiani. Quando Ascoli divenne un libero Comune la sua rappresentanza popolare divenne maggiore e il palazzo fu individuato col nome di “Palactium Communis et Populi” o “Communis Antianorum”. Successivamente fu sede dei potenti che ebbero la signoria sulla città, Vicari del Re di Napoli, da Carrara, degli Sforza e del Papa Re. Durante il ventennio mussoliniano fu sede del partito fascista e fu chiamato “Casa del Littorio”. Nel XIV secolo, si configurò nella sua forma attuale, per merito dei papi Giulio II eLeone X che elargirono 1100 ducati. Cola dell’Amatrice realizzò il disegno della facciata, su via del Trivio, caratteristica per i portali in travertino e le finestre aggettanti, sul cornicione di una finestra ha apposto la data 1520. Una nuova ricostruzione tra il 1518 e il 1520. Nel Natale del 1535 alcuni rivoltosi appartenenti alle nobili famiglie ascolane, Guiderocchi, Malaspina e Parisani, si asserragliarono nel palazzo rendendolo scenario di tragici eventi. L’allora commissario pontificio Giovan Battista Quieti fece appiccare il fuoco all’edificio, per porre fine alla rivolta. Il palazzo bruciò per due lunghe giornate. I danni furono incalcolabili e gli Anziani deliberarono i nuovi, necessari interventi di restauro. Nel 1546, Lazzaro di Francesco, detto Ferrone, insieme con alcuni maestri lombardi terminò ilportale principale. Questo fu realizzato in onore di Paolo III Farnese, che aveva riportato la pace ad Ascoli ed aveva restituito alla città alcuni castelli della Valle del Tronto. La statua del Papa è alloggiata in una nicchia sovrastante l'archivolto. Nel 1549 Camillo Merli costruì all’interno il nuovo scalone ed il cortile centrale con loggiati sovrapposti e sostenuti da eleganti colonne in travertino. Nel 1563 divenne la sede dei Governatori Pontifici e gli Anziani, dopo una secolare permanenza, furono costretti ad abbandonare il palazzo. Questi vi rimasero fino al 1860, quando, con l’annessione delle Marche al Regno d'Italia, il complesso monumentale divenne proprietà dello Stato. Da allora il Palazzo conobbe solo passaggi di proprietà: dallo Stato passò alla Provincia e da questa nel 1902 al Comune. Nel 1938 l'architetto Vincenzo Pilotti intervenne sulla "Sala dei Savi". Nel 1968 sono stati eseguiti nuovi lavori di riconsolidamento e, fra il 1980 e il 1987, è stato completato il progetto per il completo recupero dell’intero complesso. All’interno del palazzo c’è la Sala della Ragione, sede del Consiglio dei Cento. Nel suo controsoffitto furono messi dodici pannelli dipinti su legno nei secoli XVIII e XIX. In una nicchia, nella parete nord della sala, c’è un affresco del XV secolo che alcuni attribuiscono a Pietro Alamanno. Nel cartiglio superiore si legge la data 24 febbraio 1484, data di esecuzione, e il nome di sei Anziani coevi. Nel cartiglio inferiore si legge: Odi la parte et l’occhio a la ragione deriza e se me voli in libertate manten te in caritate et unione. Al terzo piano c’è la Sala degli Stemmi, che prende il nome dalla fascia affrescata che corre lungo le quattro pareti subito sotto il soffitto. Gli affreschi riproducono emblemi gentilizi, nomi ed anni di servizio di molti Governatori pontifici dell’800.
La chiesa di San Francesco è tra i monumenti che, insieme al palazzo dei Capitani, allo storico Caffè Meletti ed alle logge, delimitano piazza del Popolo, cuore della città di Ascoli Piceno. Antonio Rodilossi la descrive come uno dei più interessanti esempi italiani di architettura francescana, nonché la chiesa francescana più rappresentativa della regione Marche. Essa costituisce il centro di un complesso monumentale composto anche dai due chiostri annessi: il Chiostro Maggiore ed il Chiostro Minore. La chiesa nasce per ricordare la visita di san Francesco ad Ascoli Piceno nell'anno 1215 e del santo ne conserva il nome, pur essendo stata dedicata e consacrata, il 24 giugno 1371, a san Giovanni Battista dal vescovo Giovanni Acquaviva. L'onda emotiva generata dalla predicazione del poverello di Assisi scosse la vita e l'animo di molti ascolani tra cui trenta giovani che indossarono il saio e divennero seguaci del santo dando origine alla prima comunità francescana ascolana dei frati minori conventuali. L'ordine ebbe il suo primo luogo di residenza al di fuori delle mura cittadine presso la zona di Campo Parignano.
Nell’anno 1257 papa Alessandro IV ed il ministro generale san Bonaventura concessero ai frati l'autorizzazione di potersi trasferire all'interno della città e di poter alienare il loro convento. Con i proventi ricavati dalla vendita la piccola comunità francescana acquistò una porzione di suolo in «vico qui scadya nominatur», l’attuale Piazza del Popolo, ed in questo spazio avviò la costruzione della chiesa e delle pertinenze dei chiostri e del convento che ospitò anche i papi Niccolò IV e Sisto V. La posa della prima pietra avvenne nel 1258, questa fu benedetta ed inviata dal papa Alessandro IV, sebbene la concreta costruzione dell'edificio religioso incominciò solo nel 1262 a causa di varie difficoltà che sopravvennero. Del progetto iniziale, che una tradizione priva di alcun fondamento assegna all'ascolano Antonio Vipera, sono state individuate tracce in alcuni scavi effettuati informalmente (e senza che rimangano tracce di rilievi) nella zona dell'abside, dal 1966 al 1967. Prevedeva una sola navata con sette absidi e due pilastri centrali a sostegno dell'arco trionfale. Questa impostazione progettuale venne abbandonata all'inizio del XIV secolo quando si iniziò la costruzione di un edificio impostato su tre navate separate da dieci pilastri che sorreggevano un soffitto a capriate. Nonostante la struttura fosse ancora incompleta venne consacrata nel 1371. Sebbene sia rimasto sconosciuto l'artefice di queste modifiche e tutti gli storici siano accomunati nell'ipotesi che fu più di un artista, Pio Cenci dichiara che la paternità della progettazione di stile gotico fu di Fra Bevignate appartenuto all'ordine religioso dei Silvestrini. Dopo numerose interruzioni la costruzione della chiesa riprese, nel 1443, sotto la direzione di Matteo Roberti da Como, per proseguire sotto la conduzione del milanese Antonio di Giovanni nel 1451. A questo periodo risalgono le cappelle laterali con i matronei che le sovrastano. La torre esagonale posta sul fianco sinistro della chiesa fu costruita attorno al 1444 da Matteo Roberti, mentre la torre che si affaccia su piazza del Popolo venne completata nel 1461. Nell'anno 1510 venne inaugurato il monumento al papa Giulio II posto nella parte superiore del portale su Piazza del Popolo, fatto realizzare da Bernardino di Pietro da Carona. Nel 1521, sotto la guida del maestro Giovanni detto Bozo, lombardo, si avviò la costruzione delle due navate laterali. Tra il 1527 ed il 1545 si dette inizio alla costruzione delle volte a crociera della navata centrale; negli anni immediatamente successivi fu completato il rifacimento della copertura con le volte a lunetta delle cappelle ai lati dell'altare maggiore dai maestri Domenico di Antonio e Battista Libertini. L'ultimo intervento strutturale sulla chiesa fu la costruzione della cupola, che avvenne tra il 1547 ed il 1549, sotto la direzione di Domenico di Antonio detto Barotto e Defendente di Antonio detto Lupo. Al XVII secolo risale, infine, il coronamento superiore della facciata principale su via del Trivio. Le aggiunte decorative interne, continuate durante il XVIII secolo, furono rimosse tra il 1852 ed il 1858, con la pretesa di ricostituire l'aspetto originario dell'edificio. Questo, al contrario, risentì negativamente della nuova fredda crudezza di restauro.
La cosiddetta edicola di Lazzaro Morelli, di gusto classicistico, si trova ad Ascoli Piceno in Piazza del Popolo aderente ad un'abside della parete esterna della chiesa di San Francesco. Fu costruita nel 1639 e dedicata alla Madonna di Reggio per volere del committente, il governatore pro tempore mons. Gerolamo dei conti Codebò di Modena. Realizzata in travertino, l'opera è assegnata per tradizione allo scultore Lazzaro Morelli, che in seguito sarebbe divenuto a Roma uno dei principali aiuti di Bernini: attribuzione corretta di recente, restituendo la paternità del lavoro allo zio di Morelli, il maestro scalpellino Silvio Giosafatti (Marchegiani 2003). In effetti, al di là delle strette rispondenze stilistiche ed esecutive con le opere (soprattutto dossali d'altare) di Giosafatti, il vecchio equivoco deriva anche dall'aver creduto per lungo tempo che Morelli fosse nato in Ascoli nel 1608, quando si è invece scoperto recentemente che nacque a San Severino Marche nel 1619. All'epoca della commissione fra il 1638 e il 1639, dunque, Morelli era minorenne, e non un maestro che potesse assumere incarichi per sé; avendo perso da bambino il padre Fulgenzio, scalpellino fiorentino, lavorava alle dipendenze dello zio Giosafatti, rinomato capobottega del principale laboratorio di scultura applicata dell'Ascolano; inoltre, il giovane Morelli nello stesso periodo era vincolato per contratto a lavorare insieme al fratello Nicola, per conto dello zio, nella casa ascolana di Tiburzio Migliani. L'edicola, si compone di un alto basamento, con cinque scalini semicircolari posti fra i piedistalli con epigrafi delle due colonnine scanalate dagli elaborati capitelli corinzi. Tra le due colonne libere e i relativi elaborati pilastri di fondo c'è la nicchia ad arco che ospitava l'immagine dipinta della Madonna di Reggio. Oggi al suo interno vi è un pannello ottocentesco a rilievo in terracotta dell'artista Paci, protetto da un cancelletto di ferro battuto. La trabeazione, che completa il riferimento al canone corinzio fissato da Jacopo Barozzi da Vignola in pieno Cinquecento, finemente ornata nella faccia inferiore da lacunari con rosoni, comprende un frontespizio ad arco di cerchio, il cui timpano è adorno di un opulento festone che incornicia un paffuto volto di cherubino, i cui caratteri rinviano alla maniera di Silvio Giosafatti. L'edicola di Piazza del Popolo è un luogo particolare, legato al rituale dei condannati a morte ai quali, prima di essere condotti fuori porta a Campo Parignano per l’esecuzione, era concesso di sostare davanti all'immagine della Madonna per le ultime preghiere.
La loggia dei Mercanti è un'opera cinquecentesca che fu aggiunta alla preesistente facciata della chiesa di San Francesco in piazza del Popolo ad Ascoli Piceno. La sua struttura architettonica si compone di cinque arcate poggianti su colonne corinziesormontate da capitelli con decoro fogliare e termina con un cornicione cui, in seguito, ne fu sovrapposto un altro merlato di mattoni. La loggia fu commissionata dalla ricca "Corporazione della Lana" che, dalla sua costruzione, ricavò uno spazio espositivo per le merci. L'opera, iniziata dal maestro lombardo Bernardino di Pietro da Carona, fu ultimata nell'anno 1513 da Francesco Rubei di Villagona. Di incerta attribuzione sia la progettazione che il disegno, si suppone che si possano considerare validi vari artisti quali: Cola dell'Amatrice, Benedetto da Maiano o Bramante. Sulla porzione della parete esterna della chiesa di san Francesco, racchiusa all'interno del perimetro della loggia, si trova immurata una lapide di travertino, recante data 3 ottobre 1568, che indica con esattezza a quali misure dovevano corrispondere le lavorazioni dei laterizi usati per l'edilizia della città.
Questo provvedimento fu attuato dal governatore ascolano Giovanni Battista Baiardi per regolamentare i manufatti dei fornaciai poiché risultavano spesso di misura inferiore a quella commissionata: «di minor misura delle forme sigillate dategli da' deputati». Scavati all'interno della lastra di travertino ci sono sei riferimenti per: mattone, quadro, mezzanella, coppo etc. In basso vi è riportata anche una misura lineare della lunghezza di 63 cm, detta branzolaro, suddivisa in sei segmenti di circa 10,5 cm cadauno.
Il Caffè Meletti si trova nella città di Ascoli Piceno ed è annoverato nell'elenco dei 150 caffè storici d'Italia. Lo stabile si affaccia sulla principale piazza cittadina, piazza del Popolo, accanto a palazzo dei Capitani. L'apertura dell'attività del locale risale agli inizi del XX secolo e fin da allora è stato noto per la sua raffinata ricercatezza. Nella cittadina marchigiana è considerato il ritrovo dei personaggi più illustri, nonché punto d'incontro di cultura e di vita mondana. L'edificio ancora oggi conserva il fascino dello stile liberty. Il colore dominante, rosa antico, della tinteggiatura esterna lo contraddistingue e lo differenzia fra tutti i palazzi storici presenti nella città.L'edificio è stato progettato dall'ingegner Marco Massimi ed elevato negli anni compresi tra il 1882 ed il 1884 per ospitare il Palazzo delle Poste e Telegrafi. La fabbrica insiste sulla stessa area dove vi fu dapprima il locale Picchetto della Dogana. La vita vera e propria del Caffè cominciò, il 22 dicembre 1905, quando Silvio Meletti, industriale produttore di liquori, acquistò la palazzina ad un'asta pubblica. Divenuto proprietario decise di destinare il fabbricato all'apertura di un elegante esercizio commerciale. Commissionò la trasformazione dell'edificio ad Enrico Cesari, ingegnere, e scelse come pittore decoratore Pio Cardini. Il Caffè Meletti prese il nome dal suo proprietario e fu inaugurato la sera del 18 maggio 1907. Nell'anno 1981 il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali lo dichiarò d'interesse storico ed artistico. Dopo 83 anni di attività fu chiuso nel 1990 lasciando un enorme vuoto nella vita sociale della cittadinanza ascolana. Otto anni più tardi, nel 1996, fu acquistato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno che lo sottopose ad un particolareggiato restauro e lo restituì alla città il 19 dicembre 1998. Il locale storico fu riaperto con una nuova inaugurazione presieduta dall'allora sindaco Roberto Allevi. Il 21 settembre 2010, il Caffè Meletti è stato chiuso per essere restaurato e modernizzato, riaprendo il 20 novembre 2011 dopo alcuni mesi di interventi. La modifica più importante ha riguardato la fruibilità dell'ingresso su via del Trivio con il ripristino della galleria interna, dismessa nel 1921. Nel tempo della sua vita il Caffè ha conosciuto ed annoverato fra i suoi illustri frequentatori occasionali anche Mario Del Monaco, Beniamino Gigli, Pietro Mascagni, Ernest Hemingway,Renato Guttuso, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Mario Soldati, e politici di levatura nazionale come Sandro Pertini e Giuseppe Saragat. La particolarità dello storico locale ascolano è l'assaggio dell'”anisetta con la mosca” ossia del liquore cui si aggiunge dentro il bicchiere un chicco di caffè. Si ricorda la definizione del Trilussa quando scrisse: «Quante favole e sonetti m'ha ispirato la Meletti». L'anisetta è un liquore a base di anice lavorato secondo la ricetta di casa Meletti, perfezionata nel 1870 da Silvio Meletti. Il Caffè ha ospitato inoltre set cinematografici. Nell'anno 1960 vi furono girate, da Francesco Maselli, alcune scene del film I delfini e nel 1971, da Pietro Germi, delle immagini di Alfredo Alfredo.
Piazza Arringo, detta anche piazza dell'Arengo, è la piazza monumentale più antica della città di Ascoli Piceno. Il suo spazio si apre sull'antico percorso della via consolare Salaria che passava attraverso il centro urbano. Di forma rettangolare, la abbelliscono importanti palazzi tra cui: palazzo Fonzi, il palazzo dell'Arengo o palatium Aringhi, del XIII secolo, principale edificio pubblico, il palazzo Vescovile, il duomo di Sant'Emidio, il battistero di San Giovanni, il museo diocesano, palazzo Panichi ed altre costruzioni.La denominazione della piazza trovò origine nel periodo medievale quando Ascoli divenne libero comune ed utilizzò questa sede per le riunioni popolari dei parlamenti definiti anche arringhi, arenghi o arringhe: assemblee cittadine che si adunavano per decidere e deliberare.
Questa fu il centro propulsore degli accadimenti più importanti della vita sociale della città ed alcuni autori la identificano come il luogo in cui sorgeva uno degli antichi fori ascolani. Giuseppe Marinelli riporta che nell'anno 1152, nel centro dello slargo, fu elevata una tribuna in pietra destinata ad ospitare gli oratori. Da questa il popolo ascolano ascoltò san Francesco d'Assisi, nel 1215, e san Giacomo della Marca, nel 1446 e successivamente nel 1471. Nel maggio del 1355, dopo la cacciata di Galeotto I Malatesta e Vanni di Vendibene, vi furono redatti gli Statuti del Popolo che sostituirono gli Statuti del Comune. In epoca medioevale al centro della piazza vi era una gigantesca pianta di olmo di cui si rinnovava la piantumazione ogni volta che l'albero moriva. Sotto la sua chioma si riunivano tutti coloro che amministravano la giustizia e discutevano della res publica. Dalla Cronaca Ascolana di Francesco Bartolini d'Arquata, del giorno 7 febbraio 1369, si apprende che l'olmo della piazza cedette sotto alla tempesta di vento che investì la città. Il Bartolini scrisse: «cecidit ulmus maxima et antiquissima, quae stabat in arengho». La pianta fu rimpiazzata da un nuovo albero messo a dimora che non vegetò e nel 1373 fu nuovamente ripiantato. Di quest'ultimo si trovano tracce nei documenti dell'epoca ed in quelli della fine del XV secolo. La pianta rimase in vita ancora per cento anni, ma quando si seccò non fu più sostituita. Piazza Arringo ha da sempre ospitato parate militari, giostre e tornei legati alle festività religiose in onore del santo patrono. Tra questi si ricorda quello dell'anno 1462 reso famoso dalla vittoria della gentildonna ascolana Menichina Soderini che batté Ludovico Malvezzi di Bologna in una competizione a cavallo. Nel 1882 Nicola Cantalamessa, l'abbellì con il monumento a Vittorio Emanuele II, statua realizzata dallo scultore stesso. Dopo la seconda guerra mondiale l'effigie del re fu rimossa e collocata presso i giardini pubblici di corso Vittorio Emanuele. Attualmente sulla piazza ci sono due fontane ellittiche di travertino di Giovanni Jecini con sculture, in bronzo, di Giorgio Paci.
La cattedrale di Sant'Emidio, duomo della città di Ascoli Piceno dedicato al suo patrono, si trova con il palazzo dell'Arengo a piazza Arringo, il centro della vita cittadina nel periodo comunale. L'attuale edificio è il risultato di molti adattamenti e sovrapposizioni avuti tra l'VIII ed il XVI secolo. Alcuni resti rinvenuti durante i lavori di restauro della cripta del 1967 dimostrano che il primo tempio fu costruito addirittura nel IV o V secolo su un preesistente edificio di epoca romana che Sebastiano Andreantonelli identifica come un tempio pagano dedicato forse alle Muse, mentre altri storici lo attribuiscono a Ercole o a Giunone. I ritrovamenti archeologici degli anni 1882 – 1883 dimostrano che la cattedrale fu edificata utilizzando i resti della basilica civile del foro romano identificati nelle sezioni più antiche della costruzione attuale come il transetto, le basi delle absidi semicircolari e la cupola che risalgono, infatti, alla fine dell'VIII secolo o all'inizio del IX secolo. L'edificio civile di epoca romana misurava circa 32 metri di lunghezza e 13 di larghezza sviluppando un'altezza di 9 metri. Il suo corpo di fabbrica si componeva di tre absidi semicircolari e di tre ingressi orientati verso il Foro. Tra il V ed il VI secolo la costruzione subì una prima trasformazione che conferì alla pianta la forma a croce latina con l'aggiunta della navata longitudinale ed il rifacimento delle absidi poligonali fortificate. Nel periodo compreso fra il 746 ed il 780 il vescovo longobardo Euclere aggiunse la cupola a base ottagonale. Successivamente, al tempo del vescovo Bernardo II (1045-1069) fu costruita la cripta per accogliere le reliquie di sant'Emidio ed in tale occasione la cattedrale, consacrata a santa Maria Madre di Dio, fu dedicata al santo martire. Nello stesso tempo si avviò la realizzazione delle due torri, poste agli angoli esterni della facciata, dei porticati interni laterali e del tiburio risalente ai secoli XI e XII. L'impatto maggiore sull'aspetto della cattedrale, però, si ebbe il 2 gennaio 1481, sotto il vescovo Prospero Caffarelli, quando fu stipulato il contratto per la demolizione dell'antica facciata, la costruzione delle tre nuove navate e una nuova abside centrale. Tale rinnovamento rimase allo stato grezzo per un lungo periodo. La facciata fu costruita dal 1529 al 1539 su progetto di Cola dell'Amatrice (1480-1550) e nello stesso periodo fu realizzato un nuovo altare maggiore di gusto barocco. Le pareti delle navate laterali iniziarono ad ospitare monumenti funebri e nelle conchiglie sotto le bifore furono realizzati fastosi altari. Il vescovo Pietro Camaiani, (1567-1579), poi, fece completare le volte delle tre navate e all'unico ingresso alla cripta nella navata centrale, si sostituirono le due scalinate nelle navate laterali. Nel 1838 fu inaugurata la cappella del SS. Sacramento, aggiunta al corpo della cattedrale all'altezza del transetto e decorata dal Fogliardi. Negli anni 1882-1894 l'ingresso alla cripta fu riportata di nuovo nella navata centrale su progetto dell'architetto Giuseppe Sacconi, (1854-1905), che disegnò anche il ciborio sotto la cupola. Nel decennio 1884-1894 le volte della navata centrale e la cupola furono decorati con affreschi di Cesare Mariani, (1826-1901), ed al termine del secondo conflitto mondiale il vescovo Ambrogio Squintani(1936-1957) fece ornare le pareti della cripta con mosaici su cartoni di Pietro Gaudenzi, (1880-1955), raffiguranti episodi dell'ultima guerra. Un nuovo intervento sulla cripta fu portato a termine nel 1961 dal vescovo Marcello Morgante che vi fece costruire la tomba dei vescovi diocesani; nel 1967, infine, si ebbe l'adeguamento liturgico del presbiterio secondo le indicazioni scaturite dal Concilio Vaticano II.
La cripta di sant'Emidio si apre nello spazio sotterraneo del presbiterio alla fine della navata centrale del duomo di Ascoli Piceno. È costituita da un ambiente quadrangolare pervaso di silenzioso, suggestivo misticismo, appena rischiarato da delicate luci che si intravedono tra il ricco colonnato. Vi si accede scendendo dalle scale che si trovano in fondo alle navate laterali dell'aula principale della cattedrale. Questa cripta fu costruita nella metà dell'XI secolo per ospitare le reliquie di sant'Emidio patrono della città, qui trasportate, dalle catacombe di Campo Parignano, dall'allora vescovo di Ascoli Bernardo II (1045 - 1058). Il ritrovamento dei resti del primo vescovo di Ascoli fu definito una «inventio miracolosa». La leggenda vuole che siano state individuate grazie alla presenza di una pianta di basilico che cresceva all'interno della sepoltura ipogea della necropoli situata nel piccolo tempietto di Sant'Emidio alle Grotte, primo luogo di tumulazione del santo. Nel 1704 Giuseppe Giosafatti operò modifiche all'originale cripta, nata semicircolare, rendendola quadrangolare e rialzandone il soffitto, di circa 60 centimetri, per includere 28 colonne di marmo rosso di Verona ed il gruppo marmoreo che ricorda il battesimo di Polisia. Lo spazio della cripta è ripartito in sette piccole navate scandite complessivamente da 63 colonne, di cui alcune di travertino e altre di marmo. All'inizio del Settecento D. Tommaso Nardini dipinse, usando la tecnica della tempera su tela, le lunette delle volte. Monsignor Ambrogio Squitani, vescovo, nel 1954 impreziosì questa cripta disponendo il decoro delle pareti e delle 4 vele al di sopra dell'altare con una serie di pregiati mosaici. Questi rievocano avvenimenti ascolani accaduti durante l'ultimo anno della seconda guerra mondiale e la benevola protezione di sant'Emidio nei confronti dei fedeli della città. Leggendoli, iniziando dalla parete destra, si susseguono in questo ordine: “Processione di penitenza”, “Ascoli dichiarata città aperta”, “Messa al campo”, “Processione di ringraziamento”, “Carità sui monti”, “Scena del terremoto” e la “Ritirata dei soldati tedeschi”. Pietro Gaudenti ne disegnò i cartoni e le opere furono realizzate dallo Studio del Mosaico Vaticano tra il 1950 ed il 1954. La cripta ospita, inoltre, altri monumenti, memorie epigrafiche di vescovi, uomini illustri e benemeriti della Chiesa e della città tra le quali quella di Sebastiano Andreantonelli. Vi è anche l'accesso ai cunicoli del 1400, che furono utilizzati come luoghi di sepoltura.
Il battistero di San Giovanni di Ascoli Piceno sorge su piazza Arringo collocato al lato sinistro del prospetto principale della cattedrale dedicata a sant'Emidio, patrono della città. È un monumento semplice ed austero nelle forme di architettura sacra che ben rappresenta lo stile romanico ad Ascoli, annoverato tra i migliori esempi di arte religiosa italiana è inoltre presente nell'elenco dei monumenti nazionali italiani. (r.d. n.7033 del 20/07/1890). La sua struttura si mostra solida e massiccia completamente realizzata da blocchi squadrati di travertino, alcuni riutilizzati e provenienti da altri edifici, altri si ritiene da un preesistente fabbricato. Alla base del lato est del monumento si nota la presenza di reperti di mura romane. L'inizio della sua costruzione è di difficile datazione, tuttavia si ipotizza, dai rinvenimenti archeologici del 1828, e dagli ulteriori scavi avvenuti nel decennio compreso tra il 1870 ed il 1880, che la parte interna dell'edificio sia stata un tempio pagano del foro ascolano dedicato forse ad Ercole. L'utilizzo del tempio come battistero avveniva già nel V - VI secolo. Giambattista Carducci conferma il periodo del VI secolo tenendo conto della forma ottagonale adottata per l'interno che accomuna il battistero ascolano a quello di San Giovanni a Firenze, al battistero degli Ariani di Ravenna, al battistero lateranense di Roma costruito da Costantino. Il primo restauro della struttura avvenne in tempi anteriori al IX secolo, poi nuovi interventi di risarcimento ebbero luogo intorno all'XI-XII secolo, come evidenziano i decori triangolari e le riquadrature dell'ingresso principale.
Il Palazzo dell'Arengo si affaccia sulla centralissima Piazza Arringo di Ascoli Piceno. È costituito dal Palazzo del Comune e dall'Arringo. Risale alla fine del XII secolo. Tra il XIII secolo ed il XIV secolo gli fu costruito accanto l'edificio del Comune. Nel secolo successivo, entrambi passarono in proprietà della Camera Apostolica che vi pose la sede del Governatore Pontificio fino al 1564. Nel 1610 Giovan Battista Cavagna, architetto della Santa Casa di Loreto, progettò l’unificazione delle due costruzioni mediante due facciate ortogonali fra loro, ma i lavori di riforma ebbero inizio solo a partire nel 1695 (XVII secolo). In quell'anno, modificando il progetto del Cavagana, lo scultore e architetto Giuseppe Giosafatti, progettò nuovamente la facciata, apportando innovazioni significative ed avanzandola sulla piazza. La costruzione fu portata a compimento dai figli Lazzaro e Lorenzo Giosafatti nel 1745. La facciata è realizzata in blocchi squadrati di travertino. Nella parte centrale presenta un portico a cinque arcate divise da lesene bugnate. Sopra la fascia marcapiano si aprono le finestre del primo piano con frontespizi su cariatidi. Le finestre del secondo piano hanno telamoni reggenti, grossi cartocci e volute. Il grande portale bugnato taglia nel mezzo il salone del 1200. Questo era un unico spazio a tre navate con otto campate con volte a crociera su colonne cilindriche. Veniva chiamato 'fondachi' ed era utilizzato come aula giudiziaria, mercato e deposito di merci. All’interno di questo palazzo, oggi, ha sede la Pinacoteca Civica e diversi uffici comunali, tra cui quello del Sindaco.
Il Palazzo Bonaparte è un edificio di Ascoli Piceno che si distingue per l’unicità dei decori e dei bassorilievi scolpiti sulla sua facciata, che ne arricchiscono l’elegante bellezza. Essi risultano essere completamente diversi da tutti quelli proposti nei palazzi gentilizi coevi presenti nella città e ben rappresentano uno dei migliori esempi d’architettura rinascimentale ascolana. Prende il nome dall’antica e titolata famiglia Bonaparte, fra le più nobili, che ne fu proprietaria. Di questo casato si trovano innumerevoli notizie nella storia cittadina tra il XIII e il XIV secolo e si attribuisce, in verità senza certezza alcuna, una parentela con il ben più famoso, eventuale, discendente Napoleone. È ritenuto che la famiglia Bonaparte, dopo il 1300, si trasferì in Toscana. Questa casa, nel 1507, divenne proprietà del Canonico Francesco Calvi. Nel fregio del portone si legge: "FRANCISCUS CALVUS CANONICUS ASCULANUS. MD7 ET DIE IANUARII, "Francesco Calvi canonico ascolano 5 gennaio 1507". Il Calvi, per sua iniziativa, commissionò l’abbellimento del palazzo con decorazioni scultoree, rendendolo così unico ed inconfondibile e mostrando, fino ad oggi, ciò che le arti dei primi anni del XVI secolo espressero. Questi temi non trovarono imitazione e fortuna in città. I disegni e la realizzazione di questi fregi sono stati attribuiti dal Venturi ai discepoli della scuola di Francesco di Giorgio Martini, mentre Giuseppe Fabiani li identifica come opere di Bernardino di Pietro da Carona, rilevando la similarità tra il portale ascolano ed il portale della chiesa di San Michele di Fano realizzato dal Maestro. Per abilità di scalpello ed originalità possono essere paragonati anche a quelli del Palazzo Ducale di Urbino o del portico della Cattedrale di Spoleto.
Il teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno si trova in via del Trivio, di fronte al chiostro Maggiore di San Francesco, nelle immediate vicinanze di piazza del Popolo. Fu intitolato a Ventidio Basso, ascolano, vissuto nel I secolo a.C. che riuscì a salire i gradi della gerarchia militare romana. Questo teatro è la continuità di un’antica tradizione ascolana. La prima struttura della città risale al 1579 e si trovava nel palazzo Anzianale. Nel 1689 iniziarono i lavori di ampliamento del vecchio fabbricato e nel 1733 fu sottoposto a nuovi interventi. Nel 1827 il progetto della costruzione di un nuovo spazio venne affidato ad Ireneo Aleandri di San severino che lo realizzò tra il 1840 ed il 1846, abbandonando tuttavia l'opera per dissapori con la committenza. Gli subentrarono gli ascolani Marco Massimi e Gabriele Gabrielli, e l’architetto fermano Giambattista Carducci, i quali apportarono numerose modifiche e innovazioni alle linee originali del disegno.
Con la storia di Sant'Emidio, termina così questo percorso storico-culturale sulla città di Ascoli Piceno e sulla storia dei sei Sestieri della Giostra della Quintana di Ascoli, vi ringraziamo per averci seguito e speriamo di aver fatto scattare la scintilla giusta...perchè ormai la Quintana è alle porte amici miei. |